Storia, geologia e natura sono strettamente legate all’Altopiano delle Pale di San Martino. Scopri tutti i luoghi, gli aneddoti storici e le peculiarità geologiche nascoste dietro ogni angolo, sotto ogni sasso e dietro ogni cima di questo ambiente unico. Non perdere l’occasione durante il tuo tour Palaronda di lasciarti affascinare da questi luoghi!
Durante l’ultima era glaciale, le Alpi erano quasi interamente ricoperte dalla calotta glaciale, che lasciava spuntare fuori solo le vette più alte. L’erosione causata dal lento movimento delle masse glaciali ha dato vita alle valli con la tipica forma a U, come le vicine valli di Fiemme e Fassa e la Val d’Adige. Alla fine dell’era glaciale, 12.000 anni fa, è iniziato lo scioglimento di questi immensi ghiacciai, e quello che rimane ai giorni nostri sono i ghiacciai in alta quota. Siamo ancora abituati ad affermare che i due ghiacciai più importanti delle Dolomiti sono quello della Marmolada e quello della Fradusta, sull’Altopiano delle Pale. Negli ultimi anni, di quest’ultimo rimanevano ormai solo pochi metri di ghiaccio, fino al 2022, anno in cui è stato dichiarato definitivamente scomparso, a causa dell’accelerazione dei cambiamenti climatici e delle estati molto calde degli ultimi anni.
Il tratto del sentiero 751 (Alta Via n°2) che si percorre dopo aver valicato la panoramica Forcella Venegia, oltre a svilupparsi su una cresta lungo gli strati della Formazione di Werfen, offre la possibilità di osservare alcuni affioramenti dei calcari e delle dolomie della Formazione del Contrin, nella parte sommitale della Cima Venegia e Venegiota. Queste rocce risalgono al periodo Anisico, stagione in cui il mare ricopre per la seconda volta la regione dolomitica, formando un mare tropicale. È proprio su alcuni blocchi di questo piastrone “del Contrin”, inclinati dalle forze tettoniche e quindi emersi dal mare, che attecchiranno nel periodo geologico successivo (Ladinico) le comunità organogene che costruiranno le scogliere coralline che hanno reso famose le pareti delle Pale di San Martino e in generale delle Dolomiti.
Contestualmente alla formazione della scogliera (piattaforma carbonatica) delle Pale di San Martino, nel corso del Periodo Ladinico si verificò un’intensa attività vulcanica sottomarina. A grandissime profondità, andava accumulandosi un’enorme massa di magma fluido che, a causa della crescente pressione sotterranea, ad un certo punto iniziò a spingere verso l’alto per uscire. La pressione spinse il magma ad iniettarsi all’interno di crepe e fessure presenti nelle rocce carbonatiche sovrastanti, che si erano aperte a causa delle forze tettoniche, formando dei filoni di lava. Questi filoni si irradiarono dalla zona centrale del vulcano (zona Predazzo-Monzoni) alle zone circostanti, e sono visibili oggi nel gruppo del Mulaz e del Focobon. Oltre che per il loro colore scuro, questi filoni si distinguono per la loro maggiore degradabilità da parte dell’erosione.
Uno degli esempi più significativi di come le forze compressive causate dallo scontro tra la placca euroasiatica e quella africana (orogenesi alpina) agiscano su rocce fittamente stratificate è testimoniato dai ripiegamenti contorti della Formazione a Bellerophon. Le rocce di tale formazione si originano verso la fine del Permiano, quando l’area dolomitica inizia gradualmente ad abbassarsi, e il mare comincia per la prima volta a ricoprire le terre emerse. Questa progressiva insinuazione del mare va a formare inizialmente delle lagune di acqua salata, fortemente soggette a evaporazione a causa del clima caldo: in questo ambiente evaporitico, si depositano gessi e dolomie. In seguito il mare invade maggiormente la piana costiera e la sedimentazione diventa calcarea di mare basso. Le rocce che si formano in questo periodo fanno parte della Formazione a Bellerophon, nota per le sue fitte stratificazioni, i contorti ripiegamenti e le intercalazioni di gessi. Il nome della formazione deriva dal gasteropode Bellerophon, rinvenibile nella sua parte alta. Oltre che lungo i percorsi Palaronda, è possibile osservare uno dei più importanti affioramenti di queste rocce presso il Rio Marmol, lungo la strada che da San Martino di Castrozza porta a Passo Rolle.
Le “Crode Rosse”, così denominate popolarmente per il loro colore rossastro, costituiscono un importante affioramento di Formazione di Wefen che si trova ai piedi del Cimon della Pala, sotto i verdi pascoli della Pala Monda. Si tratta di una formazione fittamente stratificata, formatasi in un ambiente di acque poco profonde, in cui il livello del mare era molto variabile. Ciò ha influenzato il tipo di sedimentazione, che spiega la grande variabilità tra queste rocce: vi troviamo infatti calcari, arenarie, ma anche dolomie e siltiti. Anche il colore è molto variabile: non solo dal marroncino al rosso, ma anche dal grigio al verdastro. Tra la Formazione di Werfen e la sottostante Formazione a Bellerophon esiste un importante limite stratigrafico, ovvero quello tra l’era Paleozoica e quella Mesozoica. L’evento che separa queste due ere geologiche è la grande estinzione di massa del Permiano-Triassico, avvenuta 252 milioni di anni fa, in cui oltre il 90% delle specie marine e circa il 75% di quelle terrestri scomparvero (tra cui il già citato gasteropode Bellerophon, per questo assente all’interno della Formazione di Werfen). Fu la più devastante estinzione di massa mai avvenuta sulla faccia della Terra.
L’Altopiano delle Pale di San Martino, il più esteso di tutte le Dolomiti, deriva da una grande scogliera carbonatica originatasi nel Ladinico (237-228 m.a.), per mezzo della sedimentazione degli scheletri di organismi fissatori di carbonato di calcio, soprattutto alghe e batteri incrostanti, alghe rosse, e in minor parte spugne e coralli. Dalla cima della Croda Granda è possibile ammirare il versante orientale dell’altopiano, che coincide con la scarpata che delimitava l’antica scogliera ladinica. A destra, sono evidenti le clinostratificazioni derivanti dall’accrescimento laterale della scogliera (progradazione). Immaginate che la superficie dell’altopiano coincideva con la superficie della scogliera ed era ricoperta da un mare poco profondo che permetteva agli organismi di vivere, mentre il limite dell’altopiano era una scarpata che andava verso bacini marini profondi centinaia di metri. Affascinante è inoltre il contrasto morfologico tra la superficie dell’altopiano e lo skyline frastagliato della catena settentrionale delle Pale, che emerge sullo sfondo.
Le dolomie della Formazione dello Sciliar sono caratterizzate da un aspetto massiccio e da clinostratificazioni, come abbiamo visto. Tuttavia, vicino al Rifugio Rosetta, è possibile osservare delle dolomie fittamente stratificate, che ricordano le rocce di altri gruppi dolomitici, come il gruppo del Sella. La spiegazione di questo fenomeno curioso deriva dal fatto che sulla superficie dell’antica scogliera delle Pale, infatti, esisteva una laguna interna, nella quale si sedimentarono queste rocce, che oggi appaiono come un banco di dolomia fittamente stratificata, di colore biancastro o giallastro chiaro. Queste rocce, un tempo conosciute come “Dolomia della Rosetta”, sono caratterizzate da strati densamente laminari, prevalentemente micritici. Inoltre, si sono formate attraverso un processo di “dolomitizzazione singenetica”, che significa che la trasformazione del calcare in dolomite è avvenuta in contemporanea all’accumularsi del sedimento. Recentemente, i geologi hanno abbandonato il termine “Dolomia della Rosetta” e preferiscono classificare questa roccia come un membro locale della Dolomia Cassiana.
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