La storia dell’alpinismo a San Martino di Castrozza è densa di aneddoti, avventure, ed episodi emblematici in cui la determinazione dei primi alpinisti e delle Guide Alpine hanno permesso loro di compiere epiche imprese. In questa pagina potrai scoprire i luoghi toccati dalle loro audaci conquiste, che avrai l’opportunità di ripercorrere anche tu lungo gli itinerari Palaronda. Nelle Pale di San Martino, infatti, ogni passo che compirai racconta una lunga storia di coraggio e passione per la montagna.
San Martino di Castrozza è da oltre un secolo e mezzo meta privilegiata del turismo di montagna, ma le sue origini risalgono a un’epoca in cui il concetto di alpinismo non esisteva ancora. In passato, infatti, la conca di San Martino era semplicemente un pascolo montano, con alcuni edifici rurali, una chiesa e un ospizio gestito da benedettini, che all’occorrenza offriva ospitalità a viandanti e commercianti di passaggio tra la Val di Fiemme e la Valle di Primiero. Questo luogo selvaggio e incontaminato ha attirato l’attenzione degli esploratori europei solo nella seconda metà dell’Ottocento, durante l’epoca romantica dei viaggi in Italia. La costruzione del primo albergo da parte di Leopoldo Ben nel 1872, l’Albergo Alpino, dà il via all’afflusso sempre più frequente di turisti aristocratici stranieri, intellettuali e artisti, ma anche geologi e botanici, affascinati dalla maestosità delle Pale di San Martino e delle Dolomiti.
San Martino di Castrozza attirò personaggi illustri come la principessa Sissi, il generale Conrad, il compositore Richard Strauss, lo scrittore viennese Arthur Schnitzler, il cui romanzo “La signorina Else” viene ambientato in un hotel di San Martino, e il padre della psicanalisi Sigmund Freud, i quali contribuirono a rendere questa località ancora più rinomata. Questa prima epoca d’oro del turismo venne interrotta dall’entrata in guerra del 24 maggio 1915, in seguito alla quale gli austriaci, prima di abbandonare il paese, incendiarono tutti gli edifici, eccetto la chiesa. Dopo il conflitto, San Martino venne ricostruito e iniziò a trasformarsi in un vero e proprio centro abitato, con negozi e residenze private, mantenendo intatta ancora oggi la sua affascinante storia di alpinismo e turismo di montagna.
Chi non conosce San Martino di Castrozza, non conosce le Dolomiti – Gunther Langes
Nel tardo Ottocento, l’interesse per le montagne delle Alpi cominciò a crescere tra i viaggiatori europei, che rimanevano affascinati dal loro carattere selvaggio e inesplorato. Prima di questo periodo, le montagne non erano considerate luoghi di particolare interesse dagli abitanti di queste valli, ed erano viste semplicemente come dei territori pericolosi, privi di utilità produttiva, e per questo, erano spesso prive di nomi specifici. Con l’inizio della stagione dell’alpinismo, si venne a creare un clima di corsa alla conquista delle cime alpine e dolomitiche, ed è in questo periodo, dagli anni ‘60 dell’Ottocento, che le Pale di San Martino iniziarono ad attrarre gli esploratori in cerca di avventure. Gli alpinisti più audaci si proponevano di essere i primi a scalare quella montagna o a compiere quell’attraversata, dando così inizio a una nuova era di esplorazione e conquista.
Questi coraggiosi pionieri furono attratti dal fascino selvaggio e misterioso delle montagne, intraprendendo avventure che li portarono ad attraversare valli remote, a scalare pareti rocciose vertiginose e a conquistare le vette più alte. Furono proprio loro a dare nomi alle varie cime, tracciando i primi sentieri dell’alpinismo e aprendo la strada a generazioni successive di alpinisti. In particolare, nel Gruppo delle Pale di San Martino, queste imprese pionieristiche contribuirono a dare forma e significato al paesaggio montuoso, rendendolo una meta ambita per gli appassionati di alpinismo di tutto il mondo. Percorrendo i sentieri del Palaronda, ripercorrerai le orme dei primi alpinisti, immergendoti nella storia e nell’emozione delle loro conquiste.
L’esplorazione alpinistica delle Pale inizia ufficialmente con la prima traversata dell’Altopiano delle Pale, effettuata il 1 giugno 1865 dalla comitiva composta da Freshfield, Tuckett e le due guide Dévouassoud e P. Michel. Partendo da San Martino salirono sulla Rosetta, per poi imboccare il vallone delle Comelle e arrivare a Gares. Grazie al diario di viaggio di Freshfield, possiamo rivivere quell’avventurosa giornata. Dopo aver trascorso la notte presso l’ospizio di San Martino, la comitiva partì alle 5 del mattino alla volta dell’Altopiano, impiegando 3 ore per raggiungere il Passo della Rosetta, per poi avventurarsi nel vallone delle Comelle.In cerca del passo per raggiungere Gares, si imbatterono in una serie di ostacoli, tra cui la stretta gola dell’Orrido delle Comelle, dove trovarono pezzi di legno incastrati nella roccia a formare una scala rudimentale, segno che quel luogo non era sconosciuto alla gente del posto. Oltrepassato il passaggio, gli esploratori trovarono un contadino che stava falciando l’erba, e rimasero colpiti dalla calorosa ospitalità di quest’uomo, che insistette affinché lo seguissero nella sua baita, dove offrì loro latte, formaggi e burro.
Il paesaggio roccioso che ci attorniava era della più splendida grandiosità, dirupi strapiombanti ci sovrastavano a destra e sulla sinistra i pilastri del Cimon della Pala e della Cima Vezzana culminavano in stupendi pinnacoli.
Il Cimon della Pala è una montagna straordinaria, la cui definizione poetica più famosa ed eterna è quella conferitagli da John Ball, che lo battezzò il “Cervino delle Dolomiti”, per la sua somiglianza con la celebre montagna svizzera. Un primo tentativo di conquistarne la cima fu compiuto dalla parte del Passo della Rosetta su per la Val dei Cantoni dall’austriaco Grohmann, il quale dovette arrestarsi di fronte a una parete verticale di circa trenta metri. Dovo aver tentato senza successo per la stessa via di Grohmann, Whitwell ebbe l’intuizione di tentare dal versante Nord, risalendo il ghiacciaio del Travignolo. L’alpinista inglese completò l’impresa nel 1870 con due delle migliori guide di quel tempo: Santo Siorpaes di Cortina e Christian Lauener di Lauterbrunnen. Una volta risalito il ghiacciaio del Travignolo, gli alpinisti affrontarono le ripide rocce ghiacciate del versante Nord, una salita pericolosa per le frequenti cadute di pietre, e con coraggio e determinazione, raggiunsero finalmente la vetta del Cimon della Pala, siglando la conquista di quella che è forse la montagna più emblematica delle Pale.
L’enorme guglia torreggiava sopra di noi gloriandosi del suo aspetto di assoluta inaccessibilità e con l’aria di beffarsi di qualsiasi tentativo umano di raggiungere la cima
Il 5 settembre 1872 Douglas Freshfield e Charles Comyns Tucker intrapresero l’audace impresa che li avrebbe portati a conquistare la Cima della Vezzana, la più alta cima delle Pale di San Martino. L’avventura è descritta con dettaglio nell’Alpine Journal, e nonostante la relativa facilità ebbe un certo carattere epico. I due inglesi non erano accompagnati dalle abituali guide Dévouassoud e Santo Siorpaes, e ingaggiarono così come terzo in cordata un cacciatore di camosci che era stato loro consigliato nella locanda di Paneveggio. Alle prime luci dell’alba, partirono alla volta del ghiacciaio del Travignolo, che iniziarono a risalire, finché si trovarono di fronte alle prime difficoltà: davanti all’orlo di un crepaccio, il cacciatore si rifiutò di continuare, giudicando il terreno troppo impervio. Ma i due inglesi non si scoraggiarono, e valutarono che la loro esperienza era sufficiente per proseguire anche da soli. Nonostante una scivolata nella parte finale, riuscirono nell’impresa e giunti in cima poterono contemplare l’ometto di pietre eretto da Whitwell sul Cimon della Pala due anni prima, ed ebbero l’impressione che fosse un poco più in altro di loro, ignari del fatto che quella che avevano asceso era in realtà la cima più alta del Gruppo.
Quella su cui ci stiamo muovendo non è terra solida, signori. La mia vita vale di più di qualsiasi moneta!
Una delle prime testimonianze scritte che evidenziano l’interesse degli alpinisti per il maestoso Sass Maòr si trova in un articolo scritto da Leslie Stephen, padre della celebre scrittrice inglese Virginia Woolf. Presentato pubblicamente all’Alpine Club di Londra il 25 gennaio 1870, l’articolo intitolato “The Peaks of Primiero” aprì la strada a numerose imprese alpinistiche future. Stephen ebbe l’intuizione il Sass Maòr non poteva essere conquistato dalla Val Pradidali, e suggerì una via alternativa, attraverso la valle che discendeva dalla Cima di Ball. Gli alpinisti Tucker e Beachroft fecero tesoro di questo consiglio, e fu proprio dall’alta Val della Vecchia che, il 4 settembre 1875, accompagnati dalle guide alpine Dalla Santa e Dévouassaud, raggiunsero la forcella tra il Sass Maòr e la Cima della Madonna. Da lì, sollevarono lo sguardo verso la vetta che solo poche ore prima pareva un obiettivo irraggiungibile, e dopo 13 ore e mezza raggiunsero finalmente la cima. Il Sass Maòr divenne ancor più ambito e famoso nel 1926, quando Emil Solleder e Franz Kummer scalarono l’imponente parete Est, aprendo una delle prime vie di VI grado, e aggiungendo così un altro capitolo all’epica storia di questo torrione verticale.
È il senso di disperata lontananza dal mondo in basso che rende la vetta del Sass Maor un piedistallo così tremendo e affascinante.
L’incontestabile bellezza della Pala di San Martino, incarnazione nella roccia della forma evocata dal toponimo “pala”, con le sue linee eleganti che si innalzano verso il cielo, l’ha resa per anni una delle cime più corteggiate dagli alpinisti. Tutti i pionieri delle Pale, infatti, avevano almeno desiderato di conquistare questa torre sublime. Tuttavia, bisogna attendere il 13 luglio 1878, quando i viennesi Julius Meurer e Alfredo Pallavacini, dopo un’intera settimana di tentativi, riescono a completare l’assalto decisivo alla vetta. Erano accompagnati dalle guide Santo Siorpaes, Arcangelo Dimai, e dal tuttofare dell’albergo in cui alloggiavano, un personaggio destinato a diventare presto la prima delle grandi Guide Alpine di San Martino e una delle più celebri delle Dolomiti: il giovane Michele Bettega. Il 24 luglio 1920, invece, fu inaugurata quella che sarebbe diventata la via più famosa della Pala di San Martino: il Gran Pilastro. Questo itinerario, aperto da Gunther Langes e Erwin Merlet, rimane ancora oggi uno dei più amati del Gruppo delle Pale.
Incuriositi guardammo il bel libro di vetta. Eravamo la prima cordata sulla cima dopo la guerra. Accuratamente appuntita, la matita aveva atteso sei anni la successiva registrazione, incurante degli sconvolgimenti che il mondo aveva vissuto.
Anche Cima Canali, la cui bellezza viene sintetizzata dalla definizione del bavarese Gustav Euringer, che la descrive come un’alta e slanciata cattedrale gotica, arrivò a perdere il suo status di cima vergine, quando venne conquistata dagli ormai noti Tucker e Michele Bettega il 30 agosto del 1879. La via seguita dai primi salitori percorre l’evidente spaccatura che divide in diagonale il versante della montagna che guarda il Rifugio Pradidali, per poi passare sull’altro versante per raggiungere la cima. Va ricordata inoltre l’apertura di quella che è oggi la più famosa via nella parete ovest di Cima Canali, la celebre Fessura Buhl-Erwing, inaugurata dai due alpinisti nella fresca mattinata del 9 settembre 1950. Ancora oggi, questa via attira alpinisti da tutta Europa.
Chi guarda le di lei spaventose pareti piombanti a picco la ritiene inaccessibile.
L’esplorazione alpinistica delle Pale inizia ufficialmente con la prima traversata dell’Altopiano delle Pale, effettuata il 1 giugno 1865 dalla comitiva composta da Freshfield, Tuckett e le due guide Dévouassoud e P. Michel. Partendo da San Martino salirono sulla Rosetta, per poi imboccare il vallone delle Comelle e arrivare a Gares. Grazie al diario di viaggio di Freshfield, possiamo rivivere quell’avventurosa giornata. Dopo aver trascorso la notte presso l’ospizio di San Martino, la comitiva partì alle 5 del mattino alla volta dell’Altopiano, impiegando 3 ore per raggiungere il Passo della Rosetta, per poi avventurarsi nel vallone delle Comelle.In cerca del passo per raggiungere Gares, si imbatterono in una serie di ostacoli, tra cui la stretta gola dell’Orrido delle Comelle, dove trovarono pezzi di legno incastrati nella roccia a formare una scala rudimentale, segno che quel luogo non era sconosciuto alla gente del posto. Oltrepassato il passaggio, gli esploratori trovarono un contadino che stava falciando l’erba, e rimasero colpiti dalla calorosa ospitalità di quest’uomo, che insistette affinché lo seguissero nella sua baita, dove offrì loro latte, formaggi e burro.
Il paesaggio roccioso che ci attorniava era della più splendida grandiosità, dirupi strapiombanti ci sovrastavano a destra e sulla sinistra i pilastri del Cimon della Pala e della Cima Vezzana culminavano in stupendi pinnacoli.
Il Cimon della Pala è una montagna straordinaria, la cui definizione poetica più famosa ed eterna è quella conferitagli da John Ball, che lo battezzò il “Cervino delle Dolomiti”, per la sua somiglianza con la celebre montagna svizzera. Un primo tentativo di conquistarne la cima fu compiuto dalla parte del Passo della Rosetta su per la Val dei Cantoni dall’austriaco Grohmann, il quale dovette arrestarsi di fronte a una parete verticale di circa trenta metri. Dovo aver tentato senza successo per la stessa via di Grohmann, Whitwell ebbe l’intuizione di tentare dal versante Nord, risalendo il ghiacciaio del Travignolo. L’alpinista inglese completò l’impresa nel 1870 con due delle migliori guide di quel tempo: Santo Siorpaes di Cortina e Christian Lauener di Lauterbrunnen. Una volta risalito il ghiacciaio del Travignolo, gli alpinisti affrontarono le ripide rocce ghiacciate del versante Nord, una salita pericolosa per le frequenti cadute di pietre, e con coraggio e determinazione, raggiunsero finalmente la vetta del Cimon della Pala, siglando la conquista di quella che è forse la montagna più emblematica delle Pale.
L’enorme guglia torreggiava sopra di noi gloriandosi del suo aspetto di assoluta inaccessibilità e con l’aria di beffarsi di qualsiasi tentativo umano di raggiungere la cima
Il 5 settembre 1872 Douglas Freshfield e Charles Comyns Tucker intrapresero l’audace impresa che li avrebbe portati a conquistare la Cima della Vezzana, la più alta cima delle Pale di San Martino. L’avventura è descritta con dettaglio nell’Alpine Journal, e nonostante la relativa facilità ebbe un certo carattere epico. I due inglesi non erano accompagnati dalle abituali guide Dévouassoud e Santo Siorpaes, e ingaggiarono così come terzo in cordata un cacciatore di camosci che era stato loro consigliato nella locanda di Paneveggio. Alle prime luci dell’alba, partirono alla volta del ghiacciaio del Travignolo, che iniziarono a risalire, finché si trovarono di fronte alle prime difficoltà: davanti all’orlo di un crepaccio, il cacciatore si rifiutò di continuare, giudicando il terreno troppo impervio. Ma i due inglesi non si scoraggiarono, e valutarono che la loro esperienza era sufficiente per proseguire anche da soli. Nonostante una scivolata nella parte finale, riuscirono nell’impresa e giunti in cima poterono contemplare l’ometto di pietre eretto da Whitwell sul Cimon della Pala due anni prima, ed ebbero l’impressione che fosse un poco più in altro di loro, ignari del fatto che quella che avevano asceso era in realtà la cima più alta del Gruppo.
Quella su cui ci stiamo muovendo non è terra solida, signori. La mia vita vale di più di qualsiasi moneta!
Una delle prime testimonianze scritte che evidenziano l’interesse degli alpinisti per il maestoso Sass Maòr si trova in un articolo scritto da Leslie Stephen, padre della celebre scrittrice inglese Virginia Woolf. Presentato pubblicamente all’Alpine Club di Londra il 25 gennaio 1870, l’articolo intitolato “The Peaks of Primiero” aprì la strada a numerose imprese alpinistiche future. Stephen ebbe l’intuizione il Sass Maòr non poteva essere conquistato dalla Val Pradidali, e suggerì una via alternativa, attraverso la valle che discendeva dalla Cima di Ball. Gli alpinisti Tucker e Beachroft fecero tesoro di questo consiglio, e fu proprio dall’alta Val della Vecchia che, il 4 settembre 1875, accompagnati dalle guide alpine Dalla Santa e Dévouassaud, raggiunsero la forcella tra il Sass Maòr e la Cima della Madonna. Da lì, sollevarono lo sguardo verso la vetta che solo poche ore prima pareva un obiettivo irraggiungibile, e dopo 13 ore e mezza raggiunsero finalmente la cima. Il Sass Maòr divenne ancor più ambito e famoso nel 1926, quando Emil Solleder e Franz Kummer scalarono l’imponente parete Est, aprendo una delle prime vie di VI grado, e aggiungendo così un altro capitolo all’epica storia di questo torrione verticale.
È il senso di disperata lontananza dal mondo in basso che rende la vetta del Sass Maor un piedistallo così tremendo e affascinante.
L’incontestabile bellezza della Pala di San Martino, incarnazione nella roccia della forma evocata dal toponimo “pala”, con le sue linee eleganti che si innalzano verso il cielo, l’ha resa per anni una delle cime più corteggiate dagli alpinisti. Tutti i pionieri delle Pale, infatti, avevano almeno desiderato di conquistare questa torre sublime. Tuttavia, bisogna attendere il 13 luglio 1878, quando i viennesi Julius Meurer e Alfredo Pallavacini, dopo un’intera settimana di tentativi, riescono a completare l’assalto decisivo alla vetta. Erano accompagnati dalle guide Santo Siorpaes, Arcangelo Dimai, e dal tuttofare dell’albergo in cui alloggiavano, un personaggio destinato a diventare presto la prima delle grandi Guide Alpine di San Martino e una delle più celebri delle Dolomiti: il giovane Michele Bettega. Il 24 luglio 1920, invece, fu inaugurata quella che sarebbe diventata la via più famosa della Pala di San Martino: il Gran Pilastro. Questo itinerario, aperto da Gunther Langes e Erwin Merlet, rimane ancora oggi uno dei più amati del Gruppo delle Pale.
Incuriositi guardammo il bel libro di vetta. Eravamo la prima cordata sulla cima dopo la guerra. Accuratamente appuntita, la matita aveva atteso sei anni la successiva registrazione, incurante degli sconvolgimenti che il mondo aveva vissuto.
Anche Cima Canali, la cui bellezza viene sintetizzata dalla definizione del bavarese Gustav Euringer, che la descrive come un’alta e slanciata cattedrale gotica, arrivò a perdere il suo status di cima vergine, quando venne conquistata dagli ormai noti Tucker e Michele Bettega il 30 agosto del 1879. La via seguita dai primi salitori percorre l’evidente spaccatura che divide in diagonale il versante della montagna che guarda il Rifugio Pradidali, per poi passare sull’altro versante per raggiungere la cima. Va ricordata inoltre l’apertura di quella che è oggi la più famosa via nella parete ovest di Cima Canali, la celebre Fessura Buhl-Erwing, inaugurata dai due alpinisti nella fresca mattinata del 9 settembre 1950. Ancora oggi, questa via attira alpinisti da tutta Europa.
Chi guarda le di lei spaventose pareti piombanti a picco la ritiene inaccessibile.
La nascita delle Guide Alpine di San Martino, conosciute come “Aquile di San Martino”, risale al 1881, anno in cui Michele Bettega diventò la prima vera guida alpina del posto, avviando una tradizione che avrebbe segnato la storia di San Martino. Accanto a Bettega, emersero figure come Giuseppe Zecchini, e Bortolo Zagonel, e Antonio Tavernaro, i quali formarono il primo nucleo delle Aquile, il “celebre quartetto” come li definì Theodor Wundt. Questi pionieri tessero una rete di innumerevoli vie sulle Pale di San Martino, affermandosi in una fase dell’alpinismo caratterizzata dalla ricerca della difficoltà, e distinguendosi per la loro capacità di concepire linee di ascensione di grande modernità. In totale, il celebre quartetto aprì ben 125 nuove vie sulle Pale di San Martino.
Le gesta eroiche del celebre quartetto gettarono le basi per una tradizione duratura. Nel tempo, la professione di Guida Alpina si è evoluta per adattarsi alle richieste sempre più varie dei visitatori, e oggi, con quasi un secolo e mezzo di storia alle spalle, le Guide Alpine di San Martino portano avanti la loro missione assicurando esperienze indimenticabili ai propri clienti. Le guide sono dotate di una scrupolosa preparazione tecnica, certificata da corsi ed esami rigorosi, e molti di loro sono esperti anche nel soccorso alpino, in cui prestano servizio. Inoltre, le Guide Alpine di San Martino sono pronte ad accompagnarvi lungo gli emozionanti tour di “Palaronda Ferrata con Guida”, garantendovi un’esperienza in totale sicurezza.
Sul Gruppo delle Pale di San Martino, troviamo cinque rifugi alpini tra i più belli delle Dolomiti, punti di appoggio cruciali per gli escursionisti in alta quota. Il primo ad essere inaugurato è stato il Rifugio Rosetta nel 1889, eretto dalla Società degli Alpinisti Tridentini (SAT). Seguirono il Rifugio Pradidali (1896) e il Rifugio Treviso (1897), entrambi costruiti dalla sezione di Dresda del Deutscher und Österreichischer Alpenverein (DÖAV), quando le Dolomiti Trentine erano parte del territorio austro-ungarico. Il Rifugio Mulaz, costruito nel 1907 dalla Sezione di Venezia del CAI, aggiunse un’altra tappa importante nell’offerta di rifugi sulle Pale di San Martino, e infine, il Rifugio Velo della Madonna chiuse il cerchio nel 1980, realizzato anch’esso dalla SAT.
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