La passione per il trekking in montagna è probabilmente ciò che vi ha portato a scoprire le suggestive Pale di San Martino, i bellissimi tour Palaronda, e le Dolomiti in generale. Ma vi siete mai chiesti cosa rende così unico il paesaggio dolomitico e quali processi geologici hanno plasmato queste montagne straordinarie, tanto da guadagnare nel 2009 il prestigioso riconoscimento di Patrimonio Mondiale UNESCO?
Questa pagina è dedicata proprio alla scoperta della geologia delle Pale di San Martino e delle Dolomiti. Potrete trovare qui alcune informazioni fondamentali per permettervi di immaginare e comprendere i processi geomorfologici che hanno dato forma a queste meraviglie naturali. Grazie a queste nozioni, i vostri tour Palaronda saranno più completi, permettendovi di osservare il paesaggio delle Pale di San Martino con occhi nuovi, apprezzandone le peculiarità geologiche e paesaggistiche che lo rendono unico al mondo.
Il Gruppo delle Pale di San Martino con i suoi 240 km² è il gruppo montuoso più esteso di tutte le Dolomiti, e fa parte del settore geologico delle Dolomiti Occidentali. Tra le sue cime più famose compaiono il Cimon della Pala, noto come il “Cervino delle Dolomiti”, la Vezzana, che con i suoi 3192 m è la vetta più alta del Gruppo, la Rosetta, la Pala di San Martino, il Sass Maor, e la Cima della Madonna, tra le altre. La complessa storia geologica delle Pale di San Martino rivela una lunga successione di rocce, dalle più antiche alle più recenti, che emergono alla base delle bianche pareti dolomitiche delle Pale, riportate alla luce durante il lungo tempo geologico dall’azione dell’erosione.
Prima di immergerci nelle profondità della storia degli strati rocciosi che preludono la formazione delle Pale di San Martino, facciamo una breve sosta per parlare della roccia più famosa di questa zona, ovvero la dolomia. O dovremo forse parlare più precisamente di dolomie, al plurale? Ebbene sì, perché la roccia che forma le maestose pareti delle Dolomiti non è tutta uguale, e ha caratteristiche differenti a seconda di come è si è formata. Clicca sulle due schede sottostanti per conoscere le principali differenze tra i due tipi di dolomie: le dolomie massicce e le dolomie stratificate.
Si tratta di dolomie che si caratterizzano per il loro aspetto massiccio e privo di stratificazioni orizzontali, derivanti da imponenti scogliere coralline del periodo Ladinico (242-237 m.a.) e Carnico (228-216 m.a.). Queste formazioni rocciose si sono sviluppate nei bassi fondali di un mare di tipo caraibico, crescendo fino a raggiungere spessori di oltre 1000 metri, grazie a un costante abbassamento del fondale marino (subsidenza). Le scogliere risultanti hanno dato origine alle maestose pareti delle Pale di San Martino e di altri gruppi dolomitici, tra cui il Catinaccio, il Latemar, lo Sciliar, la Marmolada e il gruppo Puez-Odle. Nella prima fase (Ladinico), le scogliere crescevano principalmente in verticale (aggradazione), e le rocce risultanti sono note come Dolomia dello Sciliar. Nella successiva fase Carnica, invece, si assiste all’accrescimento orizzontale delle scogliere (progradazione), con lo sviluppo della scogliera dal nucleo verso i bordi esterni, dando vita alla Dolomia Cassiana. Esempi di queste formazioni rocciose includono la parte bassa e massiccia del Sella, il gruppo del Sassolungo con il Sassopiatto che corrisponde al bordo della scogliera e ne conserva l’inclinazione, ma anche il Lagazuoi, il Nuvolau, i Cadini di Misurina e il Monte Piana.
Si tratta di un sistema di dolomie che si è formato in seguito alla formazione delle scogliere ladino-carniche, lungo le estese piane di marea ai margini dell’oceano Tetide. Questo ambiente sedimentario, diverso dal mare di tipo caraibico precedentemente menzionato, si caratterizza per una sedimentazione influenzata dal flusso e riflusso delle maree (dobbiamo immaginarci maree molto più grandi di quelle del Mar Mediterraneo). Questo sistema di rocce è noto come Dolomia Principale, ed è contraddistinto da rocce ben stratificate e da una struttura laminare. La formazione di queste rocce avvenne in cicli noti come cicli peritidali, caratterizzati dall’alternanza di periodi in cui il mare copriva completamente le scogliere, con periodi in cui si passava dall’alta alla bassa marea. Queste rocce si ergono oltre i 1000 metri nelle Dolomiti Orientali (ad est del Rio Cordevole e della Val Badia), dando origine alle famose pareti delle Tofane, del Cristallo e delle Tre Cime di Lavaredo. Al contrario, la Dolomia Principale ha uno spessore più ridotto nelle Dolomiti Occidentali. Inoltre, questa formazione è spesso caratterizzata dalla presenza frequente di dispersioni ematitiche, che conferiscono tonalità bruno-rossastre alla roccia.
Nella fase iniziale, le scogliere erano formate da rocce calcaree. Le dolomie che possiamo ammirare oggi sulle Pale di San Martino derivano da un processo di trasformazione chimica dei calcari, chiamato dolomitizzazione, reso possibile dalla circolazione di acque ricche in magnesio, che hanno permesso uno scambio tra i sali di magnesio disciolti e il carbonato di calcio delle rocce del fondale marino, cambiando la composizione chimica della roccia. Le Dolomiti devono il loro nome al francese Déodat de Dolomieu, che, più di due secoli fa, affascinato dalla bellezza di queste montagne, raccolse diversi campioni di roccia, e si accorse che non reagivano all’acido cloridrico, contrariamente ai calcari. Le analisi del suo maestro, lo svizzero De Saussure, permisero di scoprire che si trattava di una roccia sconosciuta composta da un carbonato doppio di calcio e magnesio, che fu chiamata “dolomia” in onore del suo scopritore. Sulle Pale di San Martino non troviamo rocce più recenti, mentre non è così in altre zone delle Dolomiti, come illustrato nelle schede di approfondimento sui tipi di Dolomiti all’inizio di questa pagina.
In questo periodo la zona fu caratterizzata da importanti eventi vulcanici esplosivi, la maggior parte dei quali avvenne in un’area circolare dal diametro di 70 km chiamata caldera di Bolzano. Si viene a formare uno strato di Porfidi quarziferi che arriva a spessori fino a 2000 m, come quelli che compongono la Catena del Lagorai, Cima Bocche e il Col Margherita. Questo strato importante di rocce dure è importante perché preserverà parzialmente le Dolomiti Occidentali dalle deformazioni tettoniche successive. Risalgono a questo periodo inoltre le Arenarie di Val Gardena, rocce stratificate rossastre derivanti dal disfacimento di porfidi preesistenti, affioranti nei dintorni di San Martino e, salendo verso Passo Rolle, ai piedi della parete di porfido della Tognazza.
Nella fase terminale del Permiano, la regione va incontro a un graduale abbassamento, consentendo al mare di penetrare, formando inizialmente delle estese lagune, per poi invadere sempre di più la regione. Il clima caldo e secco causa un’intensa evaporazione in queste lagune, dando luogo alla deposizione di strati di marne argillose, calcari e dolomie cariate, che formeranno quelle che oggi è nota come Formazione a Bellerophon. Le sue caratteristiche intercalazioni di gesso, visibili lungo il Rio Marmor a Nord di San Martino, a Malga Fosse e al Passo di Valles, sono il risultato di questo ambiente evaporitico. Qui, l’acqua ricca di solfato di calcio evaporava, causando la precipitazione del gesso sul fondo. Il nome della formazione deriva dal gasteropode Bellerophon, un mollusco ampiamente diffuso che abitava il fondale marino e i cui resti sono rinvenibili nella parte superiore della formazione.
Cancellando oltre il 90% delle specie marine e circa il 75% di quelle terrestri, fu la più devastante estinzione di massa mai avvenuta sulla faccia della Terra. Le cause esatte di questo evento sono ancora oggi oggetto di dibattito tra gli scienziati.
Risale a questo periodo la Formazione di Werfen, riconoscibile per le sue distintive “Crode Rosse”. Queste stratificazioni rocciose di colore rossastro sono visibili sotto la “Pala Monda”, presso Malga Pala, ai piedi del Cimon della Pala, sulle cime Venegia e Venegiota e intorno al Castellazzo. Si tratta di rocce che derivano dal deposito di sedimenti grigi e rossastri di origine terrigena, per azione del mare che in questo periodo invase completamente la regione. Le rocce werfeniane si contraddistinguono per essere fittamente stratificate, con numerose pieghe, anche contorte, e sono molto franose. In queste formazioni, è comune trovare le cosiddette “ripple-marks”, ossia le impronte di fondo lasciate dal movimento delle onde, che ci offrono un’istantanea della spiaggia risalente a 250 milioni di anni fa.
Dopo il sollevamento verticale delle Dolomiti Occidentali avvenuto durante l’Anisico, la prima parte del Triassico medio, che ha portato all’erosione delle rocce werfeniane e alla formazione dei Conglomerati di Richthofen, un altro importante cambiamento interessa la regione circa 240 milioni di anni fa. In questo periodo, l’area subisce un nuovo abbassamento, consentendo al mare di ritornare e di creare un ambiente simile a quello delle isole caraibiche. Le acque calde e poco profonde di questo mare tropicale favoriscono la crescita di alghe calcaree e di organismi che costruiscono scheletri calcarei. L’accumulo di questo calcare contribuisce alla formazione delle rocce carbonatiche della Formazione del Contrin e dei Calcari di Morbiach, che costituiscono il Castellazzo, la parte sommitale della Cima Venegia e Venegiota, e affiorano alla base del Cimon della Pala sopra le Crode Rosse.
Siamo finalmente arrivati al periodo che più ci interessa, il Ladinico, durante il quale avviene la formazione geologica delle Pale di San Martino in senso stretto, ovvero della Dolomia dello Sciliar. Ricordiamoci che in questa fase, l’area dolomitica si trova sul fondale di un ambiente marino tropicale, simile a quello delle attuali Maldive o delle Bahamas: un fondale basso, con acque calde, limpide e ben ossigenate, e un clima tropicale. Insomma, un ambiente perfetto per favorire la proliferazione di una vasta gamma di organismi, come alghe calcaree, molluschi, coralli, spugne. Nel corso di circa 4-5 milioni di anni, l’accumulo progressivo delle costruzioni dei coralli, dei gusci degli organismi, delle conchiglie e delle alghe calcaree, diede origine a un insieme di grandiose scogliere coralline. Sembra incredibile, ma la più imponente di queste scogliere è quella che potete ammirare oggi lungo i trekking Palaronda, ossia l’immenso Altopiano delle Pale e le maestose vette che lo circondano. Vediamo ora nel dettaglio, come si sono formate le Pale di San Martino.
Un aspetto straordinario su come si sono formate le Pale di San Martino e le Dolomiti è rappresentato dalla fortunata combinazione di condizioni che ha permesso alle scogliere coralline di svilupparsi in modo così imponente. I coralli, principali costruttori delle scogliere, per poter prosperare richiedono non solo acque pulite e temperature tropicali, ma soprattutto luce solare. Per essere raggiunti dai raggi solari, i fondali su cui crescono i coralli devono essere relativamente poco profondi. Com’è possibile quindi spiegare l’enorme spessore raggiunto dalle scogliere ladiniche, che in alcuni casi superano i 1500 metri di altezza, come nelle pareti dell’Agner? Ciò fu possibile grazie a un costante processo di abbassamento del fondale marino, noto come subsidenza, che si è verificato in modo lento ma continuo, per circa 5 milioni di anni. Questo fenomeno ha obbligato i coralli e gli altri organismi a crescere verso l’alto per raggiungere la luce solare, espandendosi “sopra” i resti dei loro predecessori e contribuendo alla crescita verticale delle scogliere (processo di aggradazione).
Ricordate la caldera di Bolzano che diede origine ai porfidi del Lagorai? Ebbene, non si tratta dell’unico fenomeno vulcanico che ha interessato la storia geologica delle Dolomiti. Infatti, mentre nei mari tropicali crescevano le scogliere coralline, più in profondità si formava un enorme ammasso magmatico fluido. Aumentando la pressione, questo magma inizia lentamente a spingersi verso l’alto, iniettandosi nelle fessure delle rocce dolomitiche sovrastanti. Queste lave, una volta solidificate, hanno dato origine a numerosi filoni di rocce scure, noti come filoni porfiritici, che potrete osservare lungo i percorsi Palaronda che passano vicino al gruppo del Mulaz e del Focobòn, nella parte settentrionale delle Pale. È in questa fase che si formano i due vulcani di Predazzo e dei Monzoni, la cui attività di un milione di anni ha prodotto grandi quantità di rocce vulcaniche, che si vanno ad adagiare sulle scarpate ladiniche, arrivando addirittura a coprirle in alcuni casi: questo fenomeno ebbe l’incredibile effetto di preservarle dall’erosione.
Siete giunti al capitolo finale di questa lunga storia, congratulazioni! Avete ora tutti gli elementi per poter riconoscere le varie rocce presenti nell’area delle Pale di San Martino mentre percorrerete gli itinerari Palaronda. Tuttavia c’è un ultimo tassello mancante, rappresentato da un evento cruciale nella storia geologica italiana, senza il quale queste rocce non sarebbero diventate delle montagne: l’orogenesi alpina. Questo processo si verifica come effetto del progressivo avvicinamento, fino ad arrivare alla collisione, tra la placca africana, che comprendeva l’area dolomitica, e quella euroasiatica. Le enormi forze compressive generate da questo evento hanno provocato sollevamenti fra i tre e i cinque chilometri, regalandoci lo spettacolo mozzafiato che possiamo ammirare oggi. Nella prossima parte, potrete approfondire gli aspetti legati alla formazione del variegato paesaggio dolomitico, nato dalla combinazione di forze orogenetiche e di erosione. Queste ultime, hanno avuto un ruolo importante nello scolpire le Dolomiti nelle loro morfologie dure e verticali, così come le possiamo osservare oggi.
Durante questo vasto arco temporale, si assiste alla formazione del Basamento Cristallino Sudalpino, un substrato roccioso antichissimo formato da rocce metamorfiche. Queste rocce derivano dalla trasformazione di rocce preesistenti, note come rocce madri, che, attraverso intensi processi metamorfici, subiscono significativi cambiamenti nella loro struttura. Queste trasformazioni avvengono durante l’antica orogenesi ercinica, un intenso evento geologico che causò la formazione di importanti catene montuose come gli Appalachi e gli Urali. I rilievi della Cima d’Arzon e di Scanaiol (gneiss feldspatici) e le dorsali di Tognola-Tognazza (filladi quarzifere) sono formati da rocce che risalgono a questo periodo.
In questo periodo la zona fu caratterizzata da importanti eventi vulcanici esplosivi, la maggior parte dei quali avvenne in un’area circolare dal diametro di 70 km chiamata caldera di Bolzano. Si viene a formare uno strato di Porfidi quarziferi che arriva a spessori fino a 2000 m, come quelli che compongono la Catena del Lagorai, Cima Bocche e il Col Margherita. Questo strato importante di rocce dure è importante perché preserverà parzialmente le Dolomiti Occidentali dalle deformazioni tettoniche successive. Risalgono a questo periodo inoltre le Arenarie di Val Gardena, rocce stratificate rossastre derivanti dal disfacimento di porfidi preesistenti, affioranti nei dintorni di San Martino e, salendo verso Passo Rolle, ai piedi della parete di porfido della Tognazza.
Nella fase terminale del Permiano, la regione va incontro a un graduale abbassamento, consentendo al mare di penetrare, formando inizialmente delle estese lagune, per poi invadere sempre di più la regione. Il clima caldo e secco causa un’intensa evaporazione in queste lagune, dando luogo alla deposizione di strati di marne argillose, calcari e dolomie cariate, che formeranno quelle che oggi è nota come Formazione a Bellerophon. Le sue caratteristiche intercalazioni di gesso, visibili lungo il Rio Marmor a Nord di San Martino, a Malga Fosse e al Passo di Valles, sono il risultato di questo ambiente evaporitico. Qui, l’acqua ricca di solfato di calcio evaporava, causando la precipitazione del gesso sul fondo. Il nome della formazione deriva dal gasteropode Bellerophon, un mollusco ampiamente diffuso che abitava il fondale marino e i cui resti sono rinvenibili nella parte superiore della formazione.
Cancellando oltre il 90% delle specie marine e circa il 75% di quelle terrestri, fu la più devastante estinzione di massa mai avvenuta sulla faccia della Terra. Le cause esatte di questo evento sono ancora oggi oggetto di dibattito tra gli scienziati.
Risale a questo periodo la Formazione di Werfen, riconoscibile per le sue distintive “Crode Rosse”. Queste stratificazioni rocciose di colore rossastro sono visibili sotto la “Pala Monda”, presso Malga Pala, ai piedi del Cimon della Pala, sulle cime Venegia e Venegiota e intorno al Castellazzo. Si tratta di rocce che derivano dal deposito di sedimenti grigi e rossastri di origine terrigena, per azione del mare che in questo periodo invase completamente la regione. Le rocce werfeniane si contraddistinguono per essere fittamente stratificate, con numerose pieghe, anche contorte, e sono molto franose. In queste formazioni, è comune trovare le cosiddette “ripple-marks”, ossia le impronte di fondo lasciate dal movimento delle onde, che ci offrono un’istantanea della spiaggia risalente a 250 milioni di anni fa.
Dopo il sollevamento verticale delle Dolomiti Occidentali avvenuto durante l’Anisico, la prima parte del Triassico medio, che ha portato all’erosione delle rocce werfeniane e alla formazione dei Conglomerati di Richthofen, un altro importante cambiamento interessa la regione circa 240 milioni di anni fa. In questo periodo, l’area subisce un nuovo abbassamento, consentendo al mare di ritornare e di creare un ambiente simile a quello delle isole caraibiche. Le acque calde e poco profonde di questo mare tropicale favoriscono la crescita di alghe calcaree e di organismi che costruiscono scheletri calcarei. L’accumulo di questo calcare contribuisce alla formazione delle rocce carbonatiche della Formazione del Contrin e dei Calcari di Morbiach, che costituiscono il Castellazzo, la parte sommitale della Cima Venegia e Venegiota, e affiorano alla base del Cimon della Pala sopra le Crode Rosse.
Siamo finalmente arrivati al periodo che più ci interessa, il Ladinico, durante il quale avviene la formazione geologica delle Pale di San Martino in senso stretto, ovvero della Dolomia dello Sciliar. Ricordiamoci che in questa fase, l’area dolomitica si trova sul fondale di un ambiente marino tropicale, simile a quello delle attuali Maldive o delle Bahamas: un fondale basso, con acque calde, limpide e ben ossigenate, e un clima tropicale. Insomma, un ambiente perfetto per favorire la proliferazione di una vasta gamma di organismi, come alghe calcaree, molluschi, coralli, spugne. Nel corso di circa 4-5 milioni di anni, l’accumulo progressivo delle costruzioni dei coralli, dei gusci degli organismi, delle conchiglie e delle alghe calcaree, diede origine a un insieme di grandiose scogliere coralline. Sembra incredibile, ma la più imponente di queste scogliere è quella che potete ammirare oggi lungo i trekking Palaronda, ossia l’immenso Altopiano delle Pale e le maestose vette che lo circondano. Vediamo ora nel dettaglio, come si sono formate le Pale di San Martino.
Un aspetto straordinario su come si sono formate le Pale di San Martino e le Dolomiti è rappresentato dalla fortunata combinazione di condizioni che ha permesso alle scogliere coralline di svilupparsi in modo così imponente. I coralli, principali costruttori delle scogliere, per poter prosperare richiedono non solo acque pulite e temperature tropicali, ma soprattutto luce solare. Per essere raggiunti dai raggi solari, i fondali su cui crescono i coralli devono essere relativamente poco profondi. Com’è possibile quindi spiegare l’enorme spessore raggiunto dalle scogliere ladiniche, che in alcuni casi superano i 1500 metri di altezza, come nelle pareti dell’Agner? Ciò fu possibile grazie a un costante processo di abbassamento del fondale marino, noto come subsidenza, che si è verificato in modo lento ma continuo, per circa 5 milioni di anni. Questo fenomeno ha obbligato i coralli e gli altri organismi a crescere verso l’alto per raggiungere la luce solare, espandendosi “sopra” i resti dei loro predecessori e contribuendo alla crescita verticale delle scogliere (processo di aggradazione).
Ricordate la caldera di Bolzano che diede origine ai porfidi del Lagorai? Ebbene, non si tratta dell’unico fenomeno vulcanico che ha interessato la storia geologica delle Dolomiti. Infatti, mentre nei mari tropicali crescevano le scogliere coralline, più in profondità si formava un enorme ammasso magmatico fluido. Aumentando la pressione, questo magma inizia lentamente a spingersi verso l’alto, iniettandosi nelle fessure delle rocce dolomitiche sovrastanti. Queste lave, una volta solidificate, hanno dato origine a numerosi filoni di rocce scure, noti come filoni porfiritici, che potrete osservare lungo i percorsi Palaronda che passano vicino al gruppo del Mulaz e del Focobòn, nella parte settentrionale delle Pale. È in questa fase che si formano i due vulcani di Predazzo e dei Monzoni, la cui attività di un milione di anni ha prodotto grandi quantità di rocce vulcaniche, che si vanno ad adagiare sulle scarpate ladiniche, arrivando addirittura a coprirle in alcuni casi: questo fenomeno ebbe l’incredibile effetto di preservarle dall’erosione.
Nella fase iniziale, le scogliere erano formate da rocce calcaree. Le dolomie che possiamo ammirare oggi sulle Pale di San Martino derivano da un processo di trasformazione chimica dei calcari, chiamato dolomitizzazione, reso possibile dalla circolazione di acque ricche in magnesio, che hanno permesso uno scambio tra i sali di magnesio disciolti e il carbonato di calcio delle rocce del fondale marino, cambiando la composizione chimica della roccia. Le Dolomiti devono il loro nome al francese Déodat de Dolomieu, che, più di due secoli fa, affascinato dalla bellezza di queste montagne, raccolse diversi campioni di roccia, e si accorse che non reagivano all’acido cloridrico, contrariamente ai calcari. Le analisi del suo maestro, lo svizzero De Saussure, permisero di scoprire che si trattava di una roccia sconosciuta composta da un carbonato doppio di calcio e magnesio, che fu chiamata “dolomia” in onore del suo scopritore. Sulle Pale di San Martino non troviamo rocce più recenti, mentre non è così in altre zone delle Dolomiti, come illustrato nelle schede di approfondimento sui tipi di Dolomiti all’inizio di questa pagina.
Siete giunti al capitolo finale di questa lunga storia, congratulazioni! Avete ora tutti gli elementi per poter riconoscere le varie rocce presenti nell’area delle Pale di San Martino mentre percorrerete gli itinerari Palaronda. Tuttavia c’è un ultimo tassello mancante, rappresentato da un evento cruciale nella storia geologica italiana, senza il quale queste rocce non sarebbero diventate delle montagne: l’orogenesi alpina. Questo processo si verifica come effetto del progressivo avvicinamento, fino ad arrivare alla collisione, tra la placca africana, che comprendeva l’area dolomitica, e quella euroasiatica. Le enormi forze compressive generate da questo evento hanno provocato sollevamenti fra i tre e i cinque chilometri, regalandoci lo spettacolo mozzafiato che possiamo ammirare oggi. Nella prossima parte, potrete approfondire gli aspetti legati alla formazione del variegato paesaggio dolomitico, nato dalla combinazione di forze orogenetiche e di erosione. Queste ultime, hanno avuto un ruolo importante nello scolpire le Dolomiti nelle loro morfologie dure e verticali, così come le possiamo osservare oggi.
Oltre alle caratteristiche geologiche, le Dolomiti sono inserite tra i Patrimoni UNESCO anche per l’unicità e la complessità del loro incomparabile paesaggio. Che siate esperti conoscitori delle Dolomiti o che sia la prima volta che visitate queste zone, avrete senz’altro notato quanto queste rocce siano caratterizzate da forme particolari, in cui ogni montagna ha una sua individualità ben definita, che permette facilmente di riconoscerla e distinguerla dalle altre. Il profilo tracciato dal Cimon della Pala da Passo Rolle, le pareti verticali che formano ogni versante della Pala di San Martino, i numerosi Campanili di Val di Roda, il Sass Maor con il Velo della Madonna: ognuna di queste cime si distingue per la sua straordinaria individualità grazie alle sue complesse morfologie, che riflettono una lunga e intricata storia geologica. Ma come si è sviluppata una tale complessità paesaggistica? Lo potrete scoprire in questa parte finale, in cui comprenderete come i diversi tipi di roccia, dalle più dure alle più morbide, si comportino e reagiscano in maniera differente all’erosione e agli stress compressivi tettonici.
Le rocce dure presenti nelle Dolomiti, come la Formazione dello Sciliar (Dolomia dello Sciliar e Calcare della Marmolada), la Dolomia Cassiana e la Dolomia Principale, sono caratterizzate da una notevole resistenza all’erosione. Sebbene siano soggette all’azione delle precipitazioni atmosferiche, del vento e dei ghiacciai, la loro struttura massiccia le rende meno vulnerabili a un rapido processo erosivo. Ciò porta alla formazione dei caratteristici profili scoscesi, alle forme ripide e frastagliate che caratterizzano le Pale di San Martino. Le loro pareti verticali, inoltre, le rende soggette a frane da crollo, che, sebbene contribuiscano all’erosione, preservano comunque la verticalità della montagna. Queste rocce hanno un loro modo di reagire alle straordinarie forze compressive dell’orogenesi alpina, ovvero lo scontro tra la placca africana e quella euroasiatica che ha dato luogo alla formazione delle Alpi. A causa della loro struttura compatta e dei loro strati molto spessi, queste rocce tendono a comportarsi rigidamente, spaccandosi in numerose faglie e fratture.
Le numerose faglie e fratture nelle cime settentrionali delle Pale di San Martino determinano l’aspetto frastagliato del paesaggio.
Le rocce dure tendono a comportarsi in modo rigido, formando faglie e fratture in risposta alle forze compressive dell’orogenesi.
Le rocce tenere presenti in questa zona sono ad esempio quelle caratterizzate da fitte stratificazioni in cui si alternano rocce diverse, come la Formazione a Bellerophon, la Formazione di Werfen, e la Formazione di Livinallongo. Queste rocce sono più degradabili, e quindi l’erosione agisce su di esse con maggiore potenza, dando luogo a morfologie dolci, con profili arrotondati e paesaggi caratterizzate da pendenze blande. Durante l’orogenesi queste rocce reagiscono alle forze tettoniche deformandosi in modo plastico, dando origine a evidenti pieghe. Un esempio di questo fenomeno si può osservare presso Malga Fosse di Sopra o Passo Valles, o presso il Rio Marmol lungo la strada che da San Martino porta al Passo Rolle, dove si possono ammirare spettacolari esempi di queste pieghe.
I rilievi composti da rocce omogenee tenere, quindi facilmente degradabili, presentano versanti con pendenze lievi.
Rocce fittamente stratificate tendono a deformarsi in pieghe quando sono sottoposte agli stress compressivi dell’orogenesi.
Immaginate in un ambiente come quello delle Dolomiti, in cui l’alternanza tra rocce dure e rocce tenere è molto evidente, le modalità creative con cui l’erosione ha operato, attaccando in modo più forte le rocce più degradabili e lasciando invece in risalto morfologico le rocce più resistenti. Durante le fasi più intense dell’orogenesi alpina, le rocce più rigide hanno quindi creato degli importanti sistemi di faglie e fratture – come abbiamo visto, queste rocce non formano pieghe, ma tendono a rompersi. Queste fratture a loro volta hanno degli effetti sull’azione dell’erosione: lungo di esse, infatti, soprattutto se si tratta di fratture verticali, l’erosione agisce in modo più potente (per esempio attraverso l’azione dell’acqua, la caduta di detriti e l’azione dei ghiacciai). È lungo queste fratture che si formeranno i canaloni e le più importanti valli dell’Altopiano delle Pale, come la Valle delle Comelle, la Valle dei Cantoni, la Valle delle Galline, la Val Grande e la Val Pradidali. La formazione di questi canaloni fa risaltare ancora di più le vette del gruppo delle Pale, con le loro torri e pareti verticali.
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